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Spedito - 26 maggio 2008 : 22:57:48
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................................ sublyme sempre e in ogni momento, in virtù dell’essere quale essere-sublyme. Se si delinei l’essere-sublyme quale alterezza, allora con ciò non può intendersi che sia costituito da una ilemorfia, o non solo e non tanto giacchè il sublyme è risonanza dell'a-ilemorfico o immateriale o transcendenza della purezza dell'ente e del non-ente, quale niente o nulla. Ma che cosa è l'ab-scissa della risonanza-sublyme ? Così come il sublyme si dà nel mondo, si eventua nella sua curvatura ellittica o iperbolica o metabolica o nella varietà chiasmale moebiusiana in relatività monadale delle singalarità virtuali, altrettanto si risprofonda nella pesantezza della pietra, nella durezza e nella lucentezza del metallo, nella compattezza e nella duttilità del legno, nello sfavillio e nella cupezza del colore, nella risonanza del suono e nella forza virtuosa della parola. Tutto ciò non viene in luce per la prima volta nel sublyme, siano gravità, rilucenza, sfavillio, risonanza? O non è invece il gravare del masso e la lucentezza dei metalli, l'estasy in alterezza e la duttilità dell’albero, la luce del giorno e il buio della notte, la fluttuanza delle onde e il bisbigliare tra i rami? Come potremmo nominare o pensare o intuire, quale cognizione della adeguatezza, tutto ciò? La singolarità virtuosa di quest’insuperabile completezza lo chiamiamo sublyme e con ciò non intendiamo il globo planetario, bensì la completezza, la varietà virtuosa di mare e monti, di tempeste ed aria, di giorno e notte, gli alberi e l’erba, l’aquila e il destriero. Quel sublyme che cos’è? Ciò che dispieghi risonanza e completezza e tuttavia sia reversibile nel chiasma moebiusiano topologico, quale eterno ritorno nell'essere in vista dell'essere sublyme all'indietro e trattenente e custodente quale cura autentica ciò che è dispiegato. La pietra grava, mostra pesantezza e proprio così si ritrae in se stessa; il colore si accende e resta tuttavia chiuso; il suono risuona e tuttavia non emerge nella svelatezza in completezza. Ciò che emerge nel disvelato, invece, è esattamente lo schiudersi ed è l’essenza del sublyme. Tutte le cose rifluiscono nella relativa singolarità virtuale: nell'ontogenesi delle monadi virtuali che si schiudano c'è il medesimo incompreso o Non-compreso quale sublyme disvelatezza: qui la sua estasy, là la dà come ciò che nella svelatezza si schiuda. La sublymanza non è costituita dall'alterezza nel senso di una ilemorfia, bensì è l'ontogenesi dell' estaticità instabile, eventua il suo schiudersi come l'a-ilemorfia o la ilemorfica ob-scura o l'invisibile infinitesima pre-ilemorfica . Mentre in tal guisa la sublymità sveli in sé l'alterezza, getta se stessa nell'estasy come nel suo schiudentesi fondamento; un fondamento che, quale schiudentesi sempre e in modo conforme o aderente all’essenza, è un fondo abissale. Entrambi i tratti essenziali nell’essere-sublyme, quali alterezza e apertura e risonanza di mondo e l'alterezza, quale custodia che si schiuda casualmente congiunti nel sublyme e in una referenza conforme e aderente o inerente kategoricamente all’essenza: entrambi sono quello che sono soltanto mentre prendono fondo nell’autentico tratto fondamentale dell’essere-sublyme, la sublyme-bellezza, custodisce e cura si rivolge all'alterezza e non teme alcunché di chiuso, di ascoso anzi svela l'esistenza dell'a-ilemorfico o a-ente, non ente, niente, nulla. Ma nel suo schiudersi, lascia kriptare vuole essere e riprendersi tutto in sé: non può fare a meno del mondo , se deve risplendere nella risonanza dello schiudersi e del trattenersi: si è nella contesa in contrastanza eristika: quella contesa è l’intimità del loro controverso coappartenersi: il sublyme è al contempo l'eristika, poiché il sublyme nel fondamento della sua determinazione è contenzione in contrastanza, è per quello che accende e custodisce la contesa o l'eristika sublyme nella contrastanza. Poiché il tratto fondamentale dell’essere-sublyme è la contenzione in contrastanza: perché la sublymanza, nel fondamento del proprio essere, dev’essere siffatta contenzione in contrastanza eristika? In che cosa prende fondo l’essere-sublyme? Questa è la domanda sull’origine del sublyme: in che modo il sublyme, in quanto contenzione in contrastanza eristyka, è in primo luogo completamente presso Di sè e in secondo luogo è autenticamente in ekstasy sublyme. Come accada la contenzione di quella contesa? L’oscura asprezza e l’attrattiva pesantezza , la sua irrisolta impellenza e il suo risplendere: la dissipantesi durezza del suo schiudersi. Ed è quella di avere limite nel taglio di contorno, nel taglio verticale e nel taglio orizzontale. Mentre schiudentesi deve venire l'autoevento nell’aperto, questo stesso ontoevento deve farsi ritaglio, limite che tratteggi . Qui, nel tratto fondamentale dell’essere-sublyme quale contenzione in contrastanza eristika, risieda il fondamento della necessità e relatività anamorfica o morfologica. Senza svelare ora l’origine della morfologia: che cosa viene infatti conquistato, contendendo, in quella contenzione della contesa in eristika contrastanza? In tanto il sublyme è contenzione in contrastanza, in quanto estatizza, aprendosi in un mondo. Ma quella estatizzazione che spinge dentro, sospinge innanzi il sublyme e gli dà la risonanza in una radura. È l'ontogenesi entro cui l'alterezza è schiusa in modo conforme o aderente o inerente al mondo e il mondo è svelato in modo con-forme-aderente-inerente. La sublymanza fonda l'ontogenesi mentre svela: è la svelatezza della contrastanza in cui le cose e l'esserci giungono a stabilità, onde sostenerlo: la sublyme-bellezza in quanto tempio, trattiene la figura del Dio, al contempo, attraverso l’aperto porticato, lascia stare fuori nella radura che solo così è fondata come sacra. Ergendosi in un mondo il tempio si apre . Attraverso il sublyme, per la prima volta l'alterezza si fa con-forme o inerenza o aderenza al mondo . Allo stesso tempo, nel sublyme parole accadono virtuose nel nominare e il dire attraverso i quali l’essere degli enti viene alla parola per la prima volta e, insieme con il dicibile, viene al mondo l’indicibile: si svela l'autopoiesis, vengono coniati in anticipo i grandi concetti dell’essente . Nella sublyme-bellezza del pro-gettare e della poiesis e della morfologia in senso plastico-figurativo viene conquistato, contendendo, la contrastanza eristika, l'ontogenesi e fondatezza, in cui si fondi l ' abitare storico nell’essente, per aderire l'inerenza kategorica con la contrastanza dell’essere. L’essenza dell’essere-sublyme risiede nella contenzione della contesa, la quale conquisti in sé, contendendo in contrastanza eristika, la svelata intimità del mondo. Con quella determinatezza essenziale dell’essere-sublyme viene in stabilità l'alterezza della contrastanza che renda possibile la virtosità del sublyme. Quella sarebbe presenza di qualcosa di aderente o adeguatezza consapevole, o consapevolezza dell'adeguatezza quale intuità apprensiva dell'essere dell'ente o sapere per sè . Di certo si è lontani dalla doxa e dall'epistemica per cui il sublyme sia l’imitazione di qualcosa di sussistente o semplice adeguatezza, o aderenza inerente, o sapere per sè dell'essere delle entità. Ma con ciò la concezione del sublyme come presenza non è in alcun modo superata, bensì soltanto occultata; infatti, sia che la sublymanza venga nella vivenza come “farsi sensibile dell’invisibile”, sia, al contrario, come farsi simbolo del visibile in un’immagine-sensibile, ogni volta, in simili determinatezze, si insinua la doxa pregiudiziale, secondo cui la presenza fondamentale del sublyme sarebbe la presenza intuibile, apprensivamente, del sapere per sè in adeguatezza con le entità fenomeniche o le intenzionalità dei fenomeni dinamici della purezza. Secondo tali paradigmi senza dubbio autorevolissimi il sublime della bellezza o sublime-bellezza significhi sempre “autenticamente”. Allegoria e simbolo si offriranno quali presenze della bellezza-sublyme, nelle più diverse declinanze, e venga determinata una più elevata formazione plastico-figurativa. All’interno del sensibile quale “elemento dell’arte” vengono alla presenza il non-sensibile e il sovrasensibile. Se l'ilemorfico vale come il sensibile, allora avviene ciò che cade sotto i sensi, che è tale da divenire accessibile attraverso i sensi ma sulla modalità della sua appartenenza all’essere-sublyme non viene detto proprio nulla; infatti il gravare di una pietra, l’opacità di un colore, timbro e fluidità di una costruzione linguistica certamente non vengono sperimentati senza i sensi, giammai attraverso di essi soltanto. Nella sua disvelatezza e completezza, l'alterezza è tanto sensibile quanto non-sensibile o insensibile, o a-sensibile, o anestetica, quale presenza dell'immateriale o a-ilemorfica, o an-ilemorfica o an-ente o non-ente o niente o nulla. L’introduzione del “sensibile” coglie il poco del qualcosa di essenziale dell’essere-sublyme, giacchè lì la consapevolezza dell'adeguatezza, o intuire, entra in crisi, vacilla, è in vertigo per la presenza della profondità infinita della dynamis virtuosa, quale chiasma dell'anilemorfia, o anentità o non entità o abgrund o abisso o nullità o senza la fine, apeiron nell'arkè. Fu così che la distinzione tra sensibile e sovra-sensibile o anestesia o anilemorfia o anentità divenne il paradigma per i molteplici tentativi di interpretazione allegorica e simbolica del sublyme in generale. Già la distinzione di ilemorfica e morfologica diventa decisiva per ogni successiva posizione occidentale nei confronti dell’essente, ossia in Platone, l'ilimorfica, intesa come il sensibile, è stata ritenuta come ciò che è inferiore di fronte all’idea, intesa come ciò che è superiore e non-sensibile, o insensibile o sovrasensibile o anestetica o anilemorfica, nel pensiero cristiano, il sensibile sublyme si prende cura così dell’aderenza o inerenza del sensibile: non presenta nulla, non dà niente, si eventua nella nullità abissale. In alterità o in eterità o in essere alterità o alterezza la contrastanza della contesa tra il sublyme conquista contendendo la svelatezza, ossia la radura alla cui luce l’essente in quanto tale venga incontro si fa incontro trasformato. La sublymanza si presenta nel nulla o nel niente o nell'anentità o nell'anilemorfia perché, al fondo, non c'è mai un già stante ed oggettuale o gegenstand, gettato, naturalmente, che sia sublyme: non presenta mai, o lasci intuire la consapevolezza dell'aderenza o dell'adeguatezza o il sapere per sè bensì disveli o dispieghi o disponga fuori il mondo: è l'estasy, è l'estatica alterezza intuita solo quale intenzionalità fenomenica; entrambe quelle cose perché è contenzione di quella contesa. In forza della virtuosità il sublyme, è semplicemente e soltanto se stesso e niente di più. Ma allora in che modo è autentico sublyme? Che specie di realtà possiede? Ad onta di alcuni mutamenti, predomina ancora, fino ad oggi, quell’interpretazione della realtà del sublyme alla quale Platone, ancora una volta, ha dato l’avvio. In tale contesto, divenne decisiva quell'apriorità preliminare del sublyme. Dà ciò che si è disvelato intenzionalmente e spontaneamente dal sussistere naturale, ciò che è autopoiesis dell’esserci è la dinamica virtuosa che si dà nel fenomeno ontico o ontologico, a maggior ragione se riproduca cose della natura; infatti, quelle sono già copie di quei modelli che Platone chiama “idee”. Ciò è adeguatezza all'essere delle entità, e così anche il sublime, diviene riproducibilità di una copia di un modello o di un paradigma, anzi la sua autentica verità si dà solo quale adeguatezza ed aderenza alla paradigmatica purezza della trascendenza fenomenica, poiché le idee rappresentano l’essente autentico, ciò che le cose sono in verità, e per ciò il sublime è solamente un’eco, una risonanza paradigmatica in fondo autenticamente irreale. Platone tenta di rendere reversibile la realtà del sublyme, di contro alla costituzione sensibile del sublyme, si mette in campo la circostanza per cui essa presenti un contenuto non-sensibile. Grazie alla presenza ideale il sublyme risulta volentieri più spirituale delle cose tangibili di tutti i giorni, stacca l’ombra e tutt’intorno le aleggia “un afflato spirituale”: il sublyme si sottrae alla realtà propria di ciò che è sussistente: è apparenza; il blocco di marmo modellato di una statua ci dà ad intendere che sia un corpo vivente, laddove, al contrario, esso è in verità soltanto una gelida pietra. La sublymanza è un’apparenza perché non è essa stessa quello che presenta, e tuttavia un’apparenza legittima, giacché nella presentazione essa porta pur sempre alla luce l'insensibilmente spirituale. Interpretazioni del sublyme. Ora il sublime non è ancora così reale come le cose sussistenti, ora non è più così reale. Ogni volta, l’essere il sublyme interpreta nell’uno o nell’altro modo sempre l'irreale. E nondimeno è vero il contrario. Il tempio che si erge su un promontorio o in una valle in vertigo, la statua che se ne sta lì nella regione sacra, queste opere sono in mezzo a molto altro: terra e mare, sorgenti e alberi, aquile e serpenti non solo non sono mai e in ogni caso semplicemente sussistenti, ma presidiano il centro nel diradato margine dell’apparire: sono più reali di ciascuna cosa, poiché ciascuno di essi può annunciarsi per la prima volta come essente soltanto nell’aperto, contendendo, in forza virtuosa del sublyme. L'ontogenesi di Hölderlin nella sua poiesis è più reale più di tutti i teatri, i films e le poesiole, più reale degli edifici in cui sono sistemate le librerie e le biblioteche, in cui compaiono, tangibili, i volumi delle sue opere complete. Più reale di tutto ciò è infatti l'autopoiesis, dacché è gettata l'ontogenesi inesplorata del mondo, e trattenute in seno nelle insenature mitiche di Kalypso grandi e sublimi decisioni: è davvero l’essenza più propria dell’essere-sublyme, incommisurabile a ciò che è di volta in volta sussistente e a ciò che solo nella presuntiva è autenticamente reale, è l’essente e l’inessente, è l'essere dell'ente e il nonente, la nonentità, il niente, il nulla: non esistono sublimità delle entità, ma soltanto ekstasy tale da sollevare il proprio tempo all’altezza di sé e da trasformarlo. Più reale di tutto l’essente consueto è il sublyme in ontogenesi dell’esserci dell’esser-ci. Quella solitudine di ogni sublyme è il segno che, nella contenzione della contesa, si getti in alterezza nel suo mondo. Il suo starsene lì è la contenuta discrezione del ritroso restarsene-in-sé. Il che però non significa che il sublyme si eccepisca dalla realtà; ciò è impossibile, giacché è già sospinto innanzi entro tale realtà come il suo sovvertimento e la sua confutazione. Se le manca la forza, la potenza, la dynamis allora non è sublyme: l’origine del sublyme. La contesa quale eristica come tratto fondamentale nell’essere-sublyme ci domanda: perché la contenzione erystika è l’essenza dell’essere-sublyme? Quella domanda sia ora presa in cura. La risposta suona: l’essere-sublyme possiede il tratto fondamentale della contenzione? Dove e in che modo il sublyme è? Esiste il sublyme di per sé, in qualche tempo e da qualche parte? Nondimeno è necessario chiarire che cosa mai il sublyme sia. La parola -sublime- resta sempre e soltanto un vuoto , è semplicemente, soltanto e volta per volta il sublyme? che cosa è il sublyme? non più nel vuoto. Mentre domandiamo: ha fondamento l’essere-sublyme? che cosa è sublyme, al principio e alla fine? Contrastanza, il centro dell’aperto nella cui radura l’essente si mostra: è come la schiudentesi entra nella svelatezza. Il mondo si fa inascoso e si schiude, ma nella disvelanza. E mentre quest’intimità della svelatezza contenzioso tra il nascondentesi e il disascondentesi accade, ciò che fin lì valeva come il reale si rende finalmente svelato come l’inessente. Emerge alla luce del giorno, nella svelatezza, coprimento e distorsione e contraffazione dell’essente. Nella contenzione accade la svelatezza della disvelatezza del contenzioso tra inascoso ed ascoso, il venir fuori di coprimento e accadere in sé è l’accadere di verità. L’essenza della verità, non consiste nella concordanza o aderenza inerente di una proposizione con un fatto, bensì verità è questo accadere fondamentale della svelatezza in risonanza della disvelatezza dell’essente: in verità appartiene l’ascoso e il nascondersi, il mistero, così come il coprimento e la distorsione: la non-verità. Nel sublyme è in ekstasy l’accadere della verità, il che significa che, nel sublyme, la verità è in ekstasy. La sublymanza della verità, questa è l’essenza del sublyme. Verità non vuol dire qui una qualsiasi verità, un singolo che di vero, qualcosa come un pensiero e una proposizione, un’idea o un valore,che all’incirca vengano “presentati” o inerenti nell'aderenza ilemorfica , bensì vuol dire l’essenza del vero, la svelatezza: prima indicazione dell’essenza del sublyme a partire dall’essere-sublyme. Nel sublyme, la verità accade come divenire-disvelanza dell’essente: in che modo il sublyme sia l’origine del sublyme. La sublymanza è la verità in ekstasy da una parte sussiste il sublime e dall’altra la verità. E questa viene trapiantata in quella per mezzo del sublyme. Non è in alcun modo così: infatti il sublyme non sussiste prima della verità, né questa prima del sublyme, bensì: mentre si dà il sublyme, la verità accade si dà e si eventua nella disvelanza: perché, affinché la verità accada, essa deve venire in ekstasy sublyme? Se la verità viene in ekstasy per la prima volta con il sublyme e nel sublyme, e non è dapprima sussistente da qualche parte, allora deve divenire. Donde viene l’originalità e la singolarità della disvelatezza dell’essente? Forse, dal nulla? In effetti è proprio così, se con il non-essente si intende quel sussistente che, in forza del sublyme, viene per così dire sovvertito e confutato come l’essente. La verità non viene mai desunta da questo qualcosa di già sussistente: la svelatezza dell’essente accade mentre viene progettata, in contrastanza eristika. Tutto il sublyme, nell’essenza, è ontopoiesis, quale disvelatezza della completezza: è altro dal consueto. In forza del progetto autopoietico, il consueto e quel che è durato fin qui si fanno inessenti. L'autopoiesis non è escogitare qualcosa a piacimento, non è un librarsi nell’irreale. Ciò che l'autopoietica in quanto progetto, tenendo separato, sveli e progetti in anticipo, disveli, lascia fare per la prima volta all’essente il suo ingresso e lo esporti ad illuminazione. La verità in quanto disvelatezza accade nel progetto, nell'autopoiesis. In quanto estasy sublyme della verità, il sublyme è, in modo conforme inerente o aderente all’essenza: non è puro arbitrio ricondurre l'architettonica, la plastico-figurativa e la musicale all'autopoietica, alla poesia? Sarebbe così se le volessimo interpretare a partire dalla parola e come specie di questa: la parola, la “poesia”, è di per sé tuttavia soltanto una modalità del progettare, dell'ontopoiesis. La determinazione essenziale del sublime in quanto autopoiesis: il sublyme è l'ontopoiesis, la determinatezza del sublyme come espressione possiede una sua correttezza. L’opinione per cui il sublyme sarebbe espressione è inoppugnabile . Certamente, l’Acropoli è espressione . Altrettanto certamente, il sublyme è una particolare espressione. Ma il sublyme non è certo sublyme perché è espressione, bensì è espressione perché è sublyme, non soltanto la caratterizzi in termini di espressione e non contribuisca in nulla alla determinatezza dell’essere-sublyme, ma inibisce ogni domanda genuina su questo essere. La caratterizzazione del sublyme come espressione, è corretta e inconsistente, non è valida neppure per il linguaggio. Il linguaggio è certamente al servizio dell’intesa, della discussione e dell’accordo. Ma non è soltanto, un’espressione fonetica, oppure scritta, di ciò che dev’essere comunicato, per l’appunto il vero e il non-vero. Laddove nessun linguaggio, come in pietra, pianta e animale, lì non c'è alcuna svelatezza dell’essente, e in tal senso neanche una disvelatezza del non-essente e dell’inessente e del vuoto. Mentre il linguaggio nomina le cose per la prima volta, il nominare conduce per la prima volta l’essente alla parola e all’apparire. Il nominare o dire è un progettare, è indetto in quanto l’essente è indire progettante è al contempo disdetta di ogni opaco disordine. Il dire progettante è autopoiesis, e con ciò la prossimità e la lontananza degli Dèi. La lingua originaria è dizione in quanto ontopoiesis originaria , c'è l'ontogenesi del sorgente mondo: la poesia, resta la configurazione fondamentale del sublyme, ma questo perché nel dire ontopoietico per l’esserci viene in generale progettato e disvelato l’essente in quanto essente e si perviene al dispiegamento e alla custodia o alla cura. Progettare, costruire e dare forma in senso plastico-figurativo accadono sempre nel già svelato della dizione e del dire, per ciò non sono mai, linguaggio, bensì autopoiesis ogni volta originale nella singolarità: la determinatezza dell’essenza dell'ontopoiesis in quanto progettare non esaurisce la sua essenza. Senza lo sguardo o l'essere-in-vista-dell'essere nell’essenza pura dell'autopoiesis, non si apprende ancora il divenire della verità. Soprattutto, non si afferra concettualmente in quale senso la sublymità sia necessaria per il divenire della verità. L’essenza piena dell'ontopoiesis viene in luce nella risonanza: ontopoiesis – l’essenza del sublyme – è la risonanza ab-scissa dell’essere. Non produzione dell’essente. Ma che cosa significa essere, a differenza dall’essente? Quell'essente qui, l’organo, lo cogliamo nella sua differenza . L’organo è. Ma l' essere lo si percepisce a fatica, sebbene si sia altrettanto certi che l’organo è e non è, così come si sappia che è un organo, nonostante tutto il grande buon senso e la sua prossimità alla vita, cos’è più prossimo dell’essere? Cosa sarebbe l’organo e ciò che è consueto, senza l’essere? Si percepisce l’essere e il suo concetto se si intuisse quella svelatezza, che appare nel progetto autopoietico. L’essere è quel che cosa e l’essente, è disascoso o svelato ed ascoso. L’essente è di per sé soltanto in forza essenzialmente per l’essere-sublime: l’essere in libertà: essere un fondamento, la fondatezza, l'evento della singolarità iniziante che si dà o si eventua quale dinamica ontokronotopia. Con- fondazione, inizio ontogenesi ascoltati distintamente e compresi nella singolarità in transcendenza sublyme in autopoiesis della risonanza dell’essere, il progettare la svelatezza come l’alterezza dal consueto. Il progetto rilascia liberamente qualcosa che non soltanto non compare mai a partire dal sussistente e dal consueto, ma nemmeno può mai essere compreso dal sussistente. Il progetto è alterezza ab-scissa in quanto gettatezza della fondatezza. Cosa significa alterezza nell'ontogenesi di fondazione e inizio, e in che modo quel che con ciò è nominato coappartiene al progetto in modo conforme o aderente in inerenza all’essenza? La verità in quanto svelatezza è sempre disvelatezza della contrastanza, eristika in cui tutto l’essente e l’inessente è nella stabilità strutturale e a partire da cui si kripta o dekripta in quanto schiudentesi. In tal modo, la contrastanza resta sempre gettata in quell’oscuro abisso: la contrastanza, in che modo è? Entrambe le modalità dell’essere sono possibili soltanto se l’esserci-sublyme si getti nella contrastanza, ovvero si dà nel meson dell’essente in quanto essente e inessente, ovvero per l’esserci. Mentre l’essere-sublyme è la contrastanza eristika, diviene la risonanza sublyme. Nel progetto autopoietico, altrimenti dal consueto, la svelatezza si getta sempre svelata nella contrastanza, sempre progettata in anticipo ciò significa che il progetto ontopoietico viene aggettato dall’esser-ci-sublyme: la contrastanza eristica nella sua svelatezza dall’estatizzazione in ciò che è dato-in-attività e dalla custodia di ciò che è dato-in-risonanza: la sublyme-bellezza: la contrastanza c' è soltanto se il sublyme saprà essere sublyme. Il sublyme è già sempre gettato nella sua contrastanza eristica. Hölderlin è colui che autopoietizza il sublyme. Ma questo aggetto è sublyme, in modo conforme aderente e inerente all’essenza, è ontopoiesis. Se però il progetto è autopoiesis, allora l’aggetto non sarà qualcosa di preteso, ma la svelatezza dell’esserci sublyme, già gettato. Ciò in cui il sublyme è gettato è l'estasy, lo schiudentesi fondamento su cui il gettato, viene a riposare. Il progetto che conformemente aderisca all'inerenza dell’essenza è aggetto progetta soltanto se dall’ascoso fondamento trae fuori una svelatezza, se ciò che è dato-in-dinamica è dato-in-risonanza nel fondamento in quanto destinanza ascosa e da disascondere. Nel progetto, fa ingresso nella disvelanza, al fondo, non è un che di estraneo, bensì soltanto il più proprio, fin qui ascoso, dell’esserci sublyme. Il progetto viene dal nulla, non discende dal fin qui vigente;non viene dal nulla, perché , in aggettanza, trae fuori l’ascosa e trattenuta destinanza, la getta nella fondatezza e la fonda in senso autentico, quale progettare la risonanza è al contempo, essenzialmente il fondare. La svelatezza può diventare svelatezza della verità, in tal senso può accadere, soltanto se il progetto è un progetto fondante. Ma fondante lo è mentre si dà schiudentesi nell’aperto e precisamente in quanto la schiudentesi, nella sua controversia col mondo progettato. Poiché il sublyme in quanto autopoiesis è risonanza, progettante fondare, autoevento della risonanza nell'alterezza e nella svelatezza, cioè la verità, in tale modalità che venga a contendere il contenzioso . La verità accade soltanto in quanto svelatezza , viene in ekstasy soltanto nel sublyme. L’essenza del sublyme come risonanza dell’essere è il fondamento del sublyme. L’essere del sublyme non consiste nel fatto che è sussistente come essente, ma che si attiva in quanto contenzione della disvelanza dell’essere sublyme. Perciò il sublyme possiede senz’altro quell' eminente alterezza, è stabile in sé e si riprende da tutto il sussistente. L’essenza del sublyme è sublyme perché il sublyme deve essere, la sua essenza nel dire la verità a del pensiero nel concetto, nel portarla nell’impresa essenziale, nel sublyme. La sublymanza è l'ontogenesi della verità, è un’essenza, il sublyme è la verità, è il fondamento del sublime: ma il sublyme c'è? Esiste il sublyme di per sé? che cosa è il sublyme?
Nel sublyme è in ekstasy l’accadere della verità, nel sublyme, la verità è in ekstasy. La sublymanza della verità, questa è l’essenza del sublyme. La sublymanza è la verità in ekstasy: il sublime è la verità. Donde viene ? Forse, dal nulla? è proprio così quest’oscuro abisso inizia l'evento del sublyme. L’inizio del sublyme è sempre la libertà, quale estasy dell'esserci. L’essenza del sublyme in quanto ekstasy che si eventui in verità è l’origine sublyme di Hölderlin: l’essere-sublime eventua l’aletheia ontologica quale sublymanza dell’essere nel sublyme. C’è l’interessere tra le tre varietà di verità e c’è l’interesserci epistemico nel senso che tutte le varietà-verità si danno, si offrono alla mondità quale comprensione del mondo, mentre l'esserci comprende l'essere in transcendenza estatica immaginaria, o in transcendenza ontica o fenomenica o analitica dell’essere delle entità quale prova ontologica o ontoteologica o ontoteleologica o met-ontologica dell’esistenza dell’essere-sublyme o quale transcendenza epistemica dell’esser-epistemè-del-sublyme o dell’essere epistemica ontologica del sublyme. Anzi solo la verità ekstatika del sublyme discopre sia l’ermeneutica sia l’epistemica ontologica dell’essere sublyme dell’esseRe, mentre la metafisica della verità o l'analitica o la fenomenologia o l'ontica della verità si adegui al paradigma trascendente della metafisica analitica fenomenica. Qualora si desideri comprendere anche l’essere sublyme delle entità mondane è consentito anche privarsi dell’ontologia per affidarsi alla classica ermeneutica epistemica o alla transcendenza epistemica o alla trascendenza analitica o alla trascendenza fenomenica per discoprire solo le verità delle entità della mondanità o le verità metafisiche o le verità trascendenti analitiche fenomeniche: l’ontologia fondamentale del sublyme, la domanda sull’essere-sublyme dalla quale il pensiero europeo sorge, viene invece declinata come analitica esistenziale del sublime, come descrizione accurata del sublime, rigorosa, ontologica della dimensione ontica del sublime in cui il fare e l’essere-sublyme quotidiano degli esseri si svolge quale transcendenza del sublime o transcendenza ontologica immaginaria del sublyme. Esserci nel sublyme, quale dasein nel sublyme, “esistere ” nel sublime, o abitare poeticamente il mondo-tempo nel modo sublyme, è declinato da Heidegger in transcendenza exstatica del sublyme, dopo essere sempre stato solo analizzato in trascendenza dinamica o trascendenza analitica fenomenica kantiana. Il modo di quella trascendenza fenomenica e analitica dell'in-vista-della-pro-spettiva è lo sguardo della trascendenza analitica e fenomenologia husserl- kantiana. Intesa non in quanto corrente o scuola di pensiero ma in senso metodologico, il come del darsi della vivenza al pensiero visivo, immaginario e teoretico che la guarda, o è in-vista-della-prospettiva della transcendenza exstatica immaginaria ontologica quale pensiero poetante del sublime che deve osare inoltrarsi nella più originaria problematizzazione della gegenstand, quale contrastanza o nell'essere dell'ente sublime in transcendenza spazio-temporale. L’ontologia del sublime è quindi possibile solo o ancora come trascendenza fenomenologia del sublime giacchè la filosofia del sublime è ontologia fenomenologica del sublime o della trascendenza della purezza o dell'essere-in-vista-di-prospettive transcendenti del sublime: la trascendenza temporale si è originata dalla trascendenza ermeneutica del sublime dell’esserci, ma in-vista-di-prospettiva ontologica si presentò come trascendenza analitica e fenomenica del sublime dell’esistenza.
Ciò che è onticamente più sublime, talmente sublime da essere il sublyme, è ontologicamente il più sublime, anche perché non sembra aver bisogno di essere pensato, talmente è aderente inerente alla vivenza dell'esserci e disvelato è la transcendenza del sublyme quale estasy dinamica della mondità o dell'ontologia del mondo-esserci-mondo-in-libertà. Heidegger ha svelato e disobliato il darsi e il farsi sublime che da un punto di vista esistenziale-ontologico celi o kripti in sè e per sè enigmi su enigmi. Se l'essenza ontologica dell'essere e dell'esserci preceda e trascenda quale priorità-in-trascendenza ogni distinzione tra anima e corpo, se «das “Wesen” des Daseins liegt in seiner Existenz», “l’‘essenza’ dell’Esserci sta nella sua esistenza”, l’analitica esistenziale o l'analitica dell'esserci o la dasein-analytik precede logicamente, fenomenologicamente, analiticamente, onticamente, epistemicamente e sopratutto ontologicamente ogni scienza, o epistemica e ogni sapere fenomenologico o ontico che si voglia, o ogni trascendenza fenomenica o trascendenza ontica.
Fra le strutture ontologiche o gestell-sublyme dell'esserci sublyme nel mondo–sublime-gli “esistenziali”–sublimi ci sono l’in-essere-sublyme, il con-essere-sublyme, l’essere-per-il-sublyme. Esserci-sublyme e mondità-sublime non si trovano in prossimità l’uno accanto all’altra ma l’esserci-sublyme è la mondità dell’essere-sublyme, perché «das Alleinsein ist ein defizienter Modus des Mitseins», “l’esser soli è un modo deficitario del con-essere”. La sublymità è un evento costituente dell' essere-alla-fine-senza-fine del sublyme che disveli l’alterezza sempre incompiuta indicibile ed inaudita quale futuro-anteriore della transcendenza exstatica dell'evento o transcendenza-che-si-eventui quale esserci sempre in vista dell'evento sublyme, mai solo del fenomemo sublime dell'evento. Lì il chiasma qualità-quantità si dà quale infinità o non-finito o senza-la-fine o senza telos o negazione kategorica qualitativa del finito aderente o gegenstand, giacchè anche alla fine c'è sempre un oltre o un essere-in-vista-dell'evento della transcendenza sublyme, o in transcendenza abissale sublyme: ma una ontologia della transcendenza è ancora kriptata e non ancora gettata in vista per la trascendenza fenomenica o trascendenza analitica. Se il fenomeno primigenio della temporalità originaria e autentica è l’avvenire, l’esserci-sublyme è possibilità sempre in transcendenza della singolorità o in vista dell'evento sublyme tanto che il sublyme sia la possibilità della trascendenza nella purezza o semplice possibilità d’esserci della transcendenza sublyme, una possibilità sempre sublime d' essere sempre in vista della transcendenza abissale e senza fine, o senza la fine e sempre nell'indeterminatezza o della transcendenza indeterminata. L’esserci-sublyme non ha una fine, bensì esiste in modo finito, è finito nell'infinito è infinito nel finito: è infinito nella monade infinitesima estasy della mondità è estasy dell'esserci, è transcendenza infinita nel finito o nell'apriorità o nell'arkè o nella transcendenza paradigmatica; ed è per quell'essere-in-vista-della-transcendenza che la Cura è la cura sublime dell' essere-sublyme-transcendenza-sublyme della singolarità in transcendenza.
La Cura è il tempo sublime estatico nella sua sublymità esistenziale e fenomenologica e quindi ontica e ontologica; la Cura è la tensione sublime all’essere che sempre c'è senza-fine; la Cura è la temporalità sublime ekstatica come avvenire-essente stato-presentante la temporalità e si rivela come il senso dell’autentica cura quale estatico esserci-sempre-in-vista-della-transcendenza sublyme.
L’esserci-sublyme come Cura si declina nelle forme del sublime, del com-prendere, del parlare, del poetare e il modo d’essere-sublyme della dis-chiusura è caratterizzato dalla curiosità fenomenica del sublime, moto dell'essere-senza-fine o essere-sempre-in-vista-della-transcendenza sublyme, essenziali caratteri della tentazione sublime. Il modo in cui si danno anzitutto e per lo più è la Singolarità densamente infinita o pregnante di infinità che svela la differenza tra spazio-tempo intramonade e spaziotempo extramonade, quale esserci-sublime nella mondità di un senza-fine . Heidegger è in risonanza con l'estasy: la singolarità è un esistenziale e appartiene come fenomeno ontologico alla costituzione positiva dell’esserci sublyme. Autenticità e inautenticità del Dasein-sublyme vanno intese in senso fenomenologico e ontologico come modi diversi di abitare poeticamente il mondo sublime. Emblematica, in questa direzione, è la differenza nell'ontologia del sublyme tra paura (Furcht) e angoscia (Angst) quale transcendenza della singolarità sublyme. Mentre la paura nasce sempre da qualcosa di specifico, l’angoscia scaturisce dall' essere nella vivenza sublime, la paura assale quando si è di fronte ad un ente intramondano sia pure sublime. L’angoscia si leva dall’essere-nel-mondo o dell'essere-nell'abisso-abgrund-senza-fondo-senza-fine sublime. La sublimità dell’angoscia è l’essere-sublime la transcendenza della singolarità nel mondo-sublime: quale essere sempre in apprensione dell'in-vista-della-transcendenza-sublyme: lì c'è la transcendenza dell'angoscia quale essere-sempre-in-vista-dell'evento del niente, del non-ente, del nulla.
La Gettatezza–sublyme dell'essere-sublyme, quale transcendenza della gettanza sublyme mostra in estasy la gnostica-Heideggeriana, esplicitata quale scadimento dell’esserci non può perciò neppure essere concepita come “caduta” da un più puro e superiore “stato originario” del quale non avremmo né esperienza ontica, né comprensione ontologica «Das Dasein ist als solches schuldig», anche se velato – dell’esser nel mondo quale essere in vista della transcendenza del sublime, quale fondamento di un «ursprünglichen Schuldigseins», di un essere-sublyme originario in transcendenza della sublime singolarità.
La caduta, la gettanza o pro-gettanza sublime disvela l'essenza della trascendenza temporale dell’esserci-sublime. Il senso dell’esserci come essere nel mondo è la temporalità del sublime quale ekstasy dell'ontocronia o trascendenza temporale, il suo costante esistere come apertura mai chiusa e mai compiuta, la sua infinità, suo essere-senza-la-fine fondata sull'abgrund, sul senza fondamento quale esserci-sublime che non ha tempo ma è temporalità della vivenza-sublime, vissuta, aperta, in contrastanza nella transcendenza spazio-temporale immaginaria. Non è che l’esserci riempia con le fasi delle sue realtà effettuali istantanee una stringa elastica o dinamica o un segmento sussunto, ma estenda se stesso, sì che il suo esser proprio è fin dall'arkè costituito come estensione o transcendenza exstatica dell'evento sublyme. Nell’essere dell’esserci sta già il “tra” riferito a nascita e morte. L’esserci ontico o fenomenico esiste per nascita, e per nascita muore anche proprio nel senso dell’essere-alla morte. Entrambi i “capi” e il loro “tra” sono, finché l’esserci fattiziamente esiste, ed essi sono in quel modo possibile dell'essere in vista della transcendenza dell’essere dell’esserci, quale cura della gettanza degli eventi della transcendenza sublyme. Nascita e morte si “con-nettono”, nel modo che è proprio dell’esserci, nella singolarità in transcendenza di gettanza e sfuggenza o precorrente essere-alla-morte, quale transcendenza della singolarità sublyme. In quanto cura, l’esserci è il “tra”sublime è la transcendenza sublyme.
L’eco agostiniana la risonanza , la distensio temporale che l’esserci è da sempre e senza-fine, per sempre e nel tra, nella transcendenza temporale exstatica è il coincidere della struttura ontologica o gestell-sublime con la dinamica-sublime e matematica-sublime del tempo, ontologia sublime del Dasein-sublyme e estasy-sublyme, o transcendenza dinamica del sublime, sia pure quale risonanza Husserl-Agostiniana sempre in vista della transcendenza fenomenica dinamica per la transcendenza epistemica o ogni com-prensione del sublime-temporale-in-estasy o ontocronia-sublime: Il tempo-sublyme non è né oggettivo né soggettivo, né naturale né della physis ma dell'esserci sublime quale ontocronia-in-estasy:enigma sublime del tempo-sublyme sempre senza-fine, quale transcendenza enigmatica della ontocronia sublime . Un enigma che si chiarisce com-prendendo che il tempo, o lo spazio o lo spaziotempo, o la transcendenza ontokronotopica non siano una cosa o una entità, ma un accadere di processi nel mondo, una transcendenza spazio-temporale, un eventuarsi dell'ontocronia dell'estasy sublyme, i quali acquistano il loro significato solo nell’esserci-sublyme proteso alla cura, destinato a finire senza la fine e sapiente di tale finitezza poiché “si dà” verità, c'è transcendenza dell'aletheia solo nella misura o dismisura e fintanto ché vi è dell’esserci . L’essere nel mondo da parte dell’esserci consiste nel suo abitare poeticamente il sublime, o essere-in-vista-della-transcendenza sublyme: ha la sua fondatezza nell’ontologia dell’esserci , o meglio la sua transcendenza fondante si eventua nella transcendenza dell'esserci, nella struttura ontologica della transcendenza sublyme, nel costituire una struttura ontologica sublime che è una donazione di senso al mondo sublime, senza-fine, senza fondale, abissale «ist kein Ding, keine Substanz, kein Gegestand», non è una cosa, una sostanza o un oggetto ma è data come attuatrice di atti intenzionali nel plesso della transcendenza della singolarità di senso: ogni ente dal modo d’essere difforme dall’esserci va concepito come insensato, per essenza destituito di qualunque senso o c'è solo la transcendenza del senso .
La non cosalità dell’esserci-sublime, sia quale matematica infinita sublime, sia quale dinamica estatika sublime è la fondatezza della trascendenza della singolarità anche del suo essere-sublime-spaziale, quasi la kantiana dasein dell'essere-nello-spazio: l’esserci stesso, nel suo essere-nel-mondo, è “spaziale” o dasein-spaziale-sublyme-in-estasy: l’esserci occupa, letteralmente, lo spazio. Non è affatto soltanto sussunto nella porzione spaziale riempita dal suo corpo . La spazialità dell’esserci-sublyme non consiste in un semplice occupare luoghi, ma nell’apertura di senso che si inoltra nella radura sublime illuminandola. Ecco perché l’esserci-sublyme è nel contempo sublime spaziale in senso originario e la dimostrazione che questa spazialità è esistenzialmente possibile solo grazie alla temporalità non può prefiggersi di dedurre lo spazio dal tempo, o di risolverlo in puro tempo. Lì si disvelò la trascendenza quasi ontologica in Kant: un'ontologia, ovvero di una teoria dell'ente o essere dell'ente che dispiegasse la filosofia trascendentale verso la problematica della singolarità in trascendenza dell'ente, della teleologia, dell'esperienza estetica, dell'intersoggettività, la destinanza della trascendenza è al contempo una nuova comprensione epistemica della natura. Il Giudizio o logos quale metafisica della verità è una ragione che si trasforma, individuando la presenza di un carattere "significativo" nell'esperienza della bellezza trascendente o della purezza aderente in natura, ma comprendendola come un'esperienza diversa e non subordinata a quella concettuale, che prima era il paradigma d'ogni significatività quale apriorità epistemica. E' una ragione che scopre un principio d'orientamento dello stesso operare concettuale, che dispiega l'ontogenesi di concetti, ma rinuncia a farne una legge epistemica . E' una ragione della purezza della trascendenza che si trasforma in un accordo possibile su esperienze non concettuali, per cercare di trovare il principio di una idea filosofica trascendentale come tentativo di dar forma ad un'ontologia: quale nuova teoria kantiana dell'esistenza o dasein-analytik, che intenda presentare una formula kantiana del problema ontologico dell'esserci, esigenza che si disveli dalla critica epocale dell'ontoteologia svolta da Kant, quanto dal nuovo senso di esistenza o dasein-analytik-ermeneutica kantiana : concetti e termini come quelli di posizione, determinazione completa, riflessione, forma, simbolo, esistenza, ovvero la problematica di una ontologia trascendentale delle categorie o lo stesso statuto ontologico dell'ente fenomenico: la deduzione è una ontologia della trascendenza in senso non soggettivistico. L'intreccio tra soggetto della purezza e della trascendenza ontologica kantiana mostra la possibilità d'identificazione di un ente della singolarità in trascendenza e d'esistenza, quale dasein-analytik e comporta la possibilità di far valere l'intero complesso delle forme: l'Analitica viene a delineare una ontologia delle condizioni di senso dell'uso delle forme ontologiche: la costituzione categoriale dell'oggetto in generale prende la forma dell'ontologia della trascendenza del fenomeno. Il Giudizio o metafisica della verità riflettente, Reflexion, la teoria o logos della riflessione trascendentale , concetti della riflessione: problematica del gegenstand o dell'oggettualità empirica costringono all'accentuare i presupposti ontologici impliciti nella funzione del giudicare trascendentale delle categorie: fenomeni che consentano ogni esistenza della singolarità in trascendenza, che è centrale per l'ontologia della trascendenza, ma che lo sarà ancora di più nel contesto della Critica del Giudizio o della critica della metafisica della verità. La teoria dell'ideale quale spazio di indeterminatezza della fondazione categoriale-non-categoriale tra i fenomeni della singolarità in trascendenza, problematica della indeterminatezza che configura ormai un'ontologia della trascendenza distinta da quella dell'oggetto in generale, che può essere definita un'ontologia del "mondo", in trascendenza fenomenica, nel senso di una teoria dell'orizzonte o di una ontologia della trascendenza della mondità, quale fondale o hyntergrund o abgrund abissale. L'unica forma in cui il principio di finalità si manifesta in forma pura, è l'estetica. Giudizio o metafisica della verità ed estetica e nesso tra Giudizio o logos e sentimento del piacere non è più quello della natura intenzionale del Giudizio, contrapposta a quella dell'intelletto. La logica del giudizio estetico o metafisica della verità estetica prevede piuttosto un atteggiamento inintenzionale del Giudizio, che ha luogo in un riferimento non-predicativo all'ente della singolarità in trascendenza, prima di ogni sua comparazione: giudizio che si compie per mezzo della percezione in accordo tra immaginazione della trascendenza e trascendenza epistemica o intelletto quale senso di una percezione nel piacere estetico, paradossi che qui possono crearsi con la distinzione tra esperienza estetica e coscienza estetica: il momento estetico si intreccia e rischia di confondersi con quello conoscitivo: il problema del senso cognitivo dell'esperienza estetica o della condizione estetica della conoscenza quale a priori o principio estetico, apriori-epistemico sussunto nell'apriori-estetico. Analitica della bellezza ma sopratutto l'analitica del sublime svela un'immagine estetica-ontologica della dimensione profonda dell'ontologia della libertà: una nuova prospettiva capace di estendere l'ontologia del fenomeno nell'estetica è una dimensione del fenomeno che può rivelarsi solo al di fuori dell'epistemico conoscitivo, quale singolarità in trascendenza dell'ente: estensione quantitativa e qualitativa si coniuga con la bella forma: esistenza e aderenza nel gegenstand ontologico del Giudizio della ontologia problematica del soprasensibile. L'esperienza estetica indica il paradigma di un evento della tanscendenza o ereignis: orizzonte che non è né natura né libertà e che si presenta come un fondamento indeterminato, che non può essere esplicitato, ma a cui è necessario fare riferimento: è la transcendenza-sublyme ontologica della libertà. Fenomenologia, Empirismo tradizionale ed Razionalismo sono inadeguati per descrivere la trascendenza-sublime fenomenica ontologica della percezione. L'empirismo crede che l'esperienza sia la fonte primaria di conoscenza, e quella conoscenza è dedotta da percezioni sensorie. Il razionalismo pensa che la ragione sia la fonte primaria di conoscenza, e che quella conoscenza non dipenda da percezioni sensorie. Ma l'Empirismo tradizionale non spiega come la natura di coscienza determini le percezioni, il Razionalismo non spiega la natura delle percezioni determinanti la coscienza: un giudizio può essere definito come una percezione di una relazione tra alcuni oggetti di percezione. Un giudizio può essere un'interpretazione logica di segnali presentata da percezioni sensorie. Ma il giudizio non è una pura attività logica, né una pura attività sensoria. I Giudizi universali possono trascendere ragioni ed esperimenti. La percezione non è pura sensazione, né è pura interpretazione. L'esperienza può essere riflessiva o ariflettente. L'esperienza ariflettente può essere conosciuta da una riflessione sussunta. La riflessione può essere consapevole come se fosse un'esperienza. La riflessione può essere anche un modo per capire e strutturare esperimenti. La riflessione ha un orizzonte interno nella coscienza ed un orizzonte esterno nella mondità: riflettono l'un l'altro tempo e spazio, influenza l'uno e l'altro. La spatialità del corpo animato dell'esserci nell'analytik-dasein, o l'immagine del corpo animato quale singolarità in trascendenza è influente nella intenzionalità del corpo animato, quale trascendenza della spazialità: è l'origine della dinamica della trascendenza ontologica influente sulla sublimità spaziale. Pensieri che non possono essere espressi sono temporaneamente inconsci. Pensieri che possono essere espressi possono divenire consapevoli o divenire consapevoli prima che siano espressi. Ogni sensazione appartiene ad un campo sensorio. Il concetto di un campo sensorio implica che tutti i sensi siamo trascendenze spaziali, e che tutti gli oggetti sensori trascendenze dello spazio. Ogni oggetto percepito appartiene ad un campo di altri oggetti che non sono percepiti. Ogni sensazione percepita appartiene ad un campo di altre sensazioni che non sono percepite simultaneamente dal soggetto. Lo spazio può essere definito come una forma dell'esperienza esterna, piuttosto che come una ilemorfia fisica ove siano sistemati oggetti esterni. Le relazioni tra oggetti nello spazio sono rivelate dall'esperienza del soggetto che percepisce. Un campo di percezione estetica è un campo dove le percezioni sono presenti nella trascendenza temporale e spaziale. Le percezioni possono essere trascendenze fenomeniche come un fenomeno ontico, o ontologico della singolarità in trascendenza quale trascendenza della libertà ontologica. La libertà è l'essere-in-un-mondo per essere la trascendenza della libertà. Se l’esserci-sublyme è spazio-tempo-sublime o ontocronia sublyme in estasy lo è perché è una sublymanza spazio-temporale: come senso dell’essere di quell’ente che chiamiamo esserci, viene indicata la temporalità o spazialità sublyme. Sublime la messa in chiaro della contrastanza d’essere dell’esserci: nel sublime c'è l'apprensività, l'intuizione e la comprensione dell'intenzionalità della kurvatura dello spazio-tempo cosmico e kaosmico, cronologico irreversibile e kairologico reversibile nel mikro e nel macro infinito ed infinitesimo. Forse chi per primo eventuò la differenza tra spazio tempo intramonade in supersimmetria con lo spazio tempo della mondità disvelò il sublime leibniziano..............................
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Spedito - 27 maggio 2008 : 00:51:12
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sublime che è una donazione di senso al mondo sublime, senza-fine, senza fondale, abissale «ist kein Ding, keine Substanz, kein Gegestand», non è una cosa, una sostanza o un oggetto ma è data come attuatrice di atti intenzionali nel plesso della transcendenza della singolarità di senso: ogni ente dal modo d’essere difforme dall’esserci va concepito come insensato, per essenza destituito di qualunque senso o c'è solo la transcendenza del senso .
La non cosalità dell’esserci-sublime, sia quale matematica infinita sublime, sia quale dinamica estatika sublime è la fondatezza della trascendenza della singolarità anche del suo essere-sublime-spaziale, quasi la kantiana dasein dell'essere-nello-spazio: l’esserci stesso, nel suo essere-nel-mondo, è “spaziale” o dasein-spaziale-sublyme-in-estasy: l’esserci occupa, letteralmente, lo spazio. Non è affatto soltanto sussunto nella porzione spaziale riempita dal suo corpo . La spazialità dell’esserci-sublyme non consiste in un semplice occupare luoghi, ma nell’apertura di senso che si inoltra nella radura sublime illuminandola. Ecco perché l’esserci-sublyme è nel contempo sublime spaziale in senso originario e la dimostrazione che questa spazialità è esistenzialmente possibile solo grazie alla temporalità non può prefiggersi di dedurre lo spazio dal tempo, o di risolverlo in puro tempo. Lì si disvelò la trascendenza quasi ontologica in Kant: un'ontologia, ovvero di una teoria dell'ente o essere dell'ente che dispiegasse la filosofia trascendentale verso la problematica della singolarità in trascendenza dell'ente, della teleologia, dell'esperienza estetica, dell'intersoggettività, la destinanza della trascendenza è al contempo una nuova comprensione epistemica della natura. Il Giudizio è una ragione che si trasforma, individuando la presenza di un carattere "significativo" nell'esperienza della bellezza trascendente o della purezza aderente in natura, ma comprendendola come un'esperienza diversa e non subordinata a quella concettuale, che prima era il paradigma d'ogni significatività quale apriorità epistemica. E' una ragione che scopre un principio d'orientamento dello stesso operare concettuale, che dispiega lo stesso sorgere di concetti, ma rinuncia a farne una legge epistemica . E' una ragione della purezza della trascendenza che si trasforma in un accordo possibile su esperienze non concettuali, per cercare di trovare il principio di una idea filosofica trascendentale come tentativo di dar forma ad un'ontologia: quale nuova teoria kantiana dell'esistenza o dasein-analytik, che intenda presentare una formula kantiana del problema ontologico dell'esserci, esigenza che scaturisca dalla critica epocale dell'ontoteologia svolta da Kant, quanto dal nuovo senso di esistenza o dasein-analytik-ermeneutica kantiana : concetti e termini come quelli di posizione, determinazione completa, riflessione, forma, simbolo, esistenza, ovvero la problematica di una ontologia trascendentale delle categorie o lo stesso statuto ontologico dell'ente fenomenico: la deduzione è una ontologia della trascendenza in senso non soggettivistico. L'intreccio tra soggetto della purezza e della trascendenza ontologica kantiana mostra la possibilità d'identificazione di un ente della singolarità in trascendenza e d'esistenza, quale dasein-analytik e comporta la possibilità di far valere l'intero complesso delle forme: l'Analitica viene a delineare una ontologia delle condizioni di senso dell'uso delle forme ontologiche: la costituzione categoriale dell'oggetto in generale prende la forma dell'ontologia della trascendenza del fenomeno. Il Giudizio riflettente, Reflexion, la teoria della riflessione trascendentale , concetti della riflessione: problematica del gegenstand o dell'oggettualità empirica costringono all'accentuare i presupposti ontologici impliciti nella funzione del giudicare trascendentale delle categorie: fenomeni che consentano ogni esistenza della singolarità in trascendenza, che è centrale per l'ontologia della trascendenza, ma che lo sarà ancora di più nel contesto della Critica del Giudizio. La teoria dell'ideale quale spazio di indeterminatezza della fondazione categoriale-non-categoriale tra i fenomeni della singolarità in trascendenza, problematica della indeterminatezza che configura ormai un'ontologia della trascendenza distinta da quella dell'oggetto in generale, che può essere definita un'ontologia del "mondo", in trascendenza fenomenica, nel senso di una teoria dell'orizzonte o di una ontologia della trascendenza della mondità, quale fondale o hyntergrund o abgrund abissale. L'unica forma in cui il principio di finalità si manifesta in forma pura, è l'estetica. Giudizio ed estetica e nesso tra Giudizio e sentimento del piacere non è più quello della natura intenzionale del Giudizio, contrapposta a quella dell'intelletto. La logica del giudizio estetico prevede piuttosto un atteggiamento inintenzionale del Giudizio, che ha luogo in un riferimento non-predicativo all'ente della singolarità in trascendenza, prima di ogni sua comparazione: giudizio che si compie per mezzo della percezione in accordo tra immaginazione della trascendenza e trascendenza epistemica o intelletto quale senso di una percezione nel piacere estetico, paradossi che qui possono crearsi con la distinzione tra esperienza estetica e coscienza estetica: il momento estetico si intreccia e rischia di confondersi con quello conoscitivo: il problema del senso cognitivo dell'esperienza estetica o della condizione estetica della conoscenza quale a priori o principio estetico, apriori-epistemico sussunto nell'apriori-estetico. Analitica della bellezza ma sopratutto l'analitica del sublime svela un'immagine estetica-ontologica della dimensione profonda dell'ontologia della libertà: una nuova prospettiva capace di estendere l'ontologia del fenomeno nell'estetica è una dimensione del fenomeno che può rivelarsi solo al di fuori dell'epistemico conoscitivo, quale singolarità in trascendenza dell'ente: estensione quantitativa e qualitativa si coniuga con la bella forma: esistenza e aderenza nel gegenstand ontologico del Giudizio della ontologia problematica del soprasensibile. L'esperienza estetica indica il paradigma di un evento della tanscendenza o ereignis: orizzonte che non è né natura né libertà e che si presenta come un fondamento indeterminato, che non può essere esplicitato, ma a cui è necessario fare riferimento: è la transcendenza-sublyme ontologica della libertà. Fenomenologia, Empirismo tradizionale ed Razionalismo sono inadeguati per descrivere la trascendenza-sublime fenomenica ontologica della percezione. L'empirismo crede che l'esperienza sia la fonte primaria di conoscenza, e quella conoscenza è dedotta da percezioni sensorie. Il razionalismo pensa che la ragione sia la fonte primaria di conoscenza, e che quella conoscenza non dipenda da percezioni sensorie. Ma l'Empirismo tradizionale non spiega come la natura di coscienza determini le percezioni, il Razionalismo non spiega la natura delle percezioni determinanti la coscienza: un giudizio può essere definito come una percezione di una relazione tra alcuni oggetti di percezione. Un giudizio può essere un'interpretazione logica di segnali presentata da percezioni sensorie. Ma il giudizio non è una pura attività logica, né una pura attività sensoria. I Giudizi universali possono trascendere ragioni ed esperimenti. La percezione non è pura sensazione, né è pura interpretazione. L'esperienza può essere riflessiva o ariflettente. L'esperienza ariflettente può essere conosciuta da una riflessione sussunta. La riflessione può essere consapevole come se fosse un'esperienza. La riflessione può essere anche un modo per capire e strutturare esperimenti. La riflessione ha un orizzonte interno nella coscienza ed un orizzonte esterno nella mondità: riflettono l'un l'altro tempo e spazio, influenza l'uno e l'altro. La spatialità del corpo animato dell'esserci nell'analytik-dasein, o l'immagine del corpo animato quale singolarità in trascendenza è influente nella intenzionalità del corpo animato, quale trascendenza della spazialità: è l'origine della dinamica della trascendenza ontologicail influente sulla sublimità spaziale. Pensieri che non possono essere espressi sono temporaneamente inconsci. Pensieri che possono essere espressi possono divenire consapevoli o divenire consapevoli prima che siano espressi. Ogni sensazione appartiene ad un campo sensorio. Il concetto di un campo sensorio implica che tutti i sensi siamo trascendenze spaziali, e che tutti gli oggetti sensori trascendenze dello spazio. Ogni oggetto percepito appartiene ad un campo di altri oggetti che non sono percepiti. Ogni sensazione percepita appartiene ad un campo di altre sensazioni che non sono percepite simultaneamente dal soggetto. Lo spazio può essere definito come una forma dell'esperienza esterna, piuttosto che come una ilemorfia fisica ove siano sistemati oggetti esterni. Le relazioni tra oggetti nello spazio sono rivelate dall'esperienza del soggetto che percepisce. Un campo di percezione estetica è un campo dove le percezioni sono presenti nella trascendenza temporale e spaziale. Le percezioni possono essere trascendenze fenomeniche come un fenomeno ontico, o ontologico della singolarità in trascendenza quale trascendenza della libertà ontologica. La libertà è l'essere-in-un-mondo per essere la trascendenza della libertà. Se l’esserci-sublyme è spazio-tempo-sublime o ontocronia sublyme in estasy lo è perché è una sublymanza spazio-temporale: come senso dell’essere di quell’ente che chiamiamo esserci, viene indicata la temporalità o spazialità sublyme. Sublime la messa in chiaro della contrastanza d’essere dell’esserci: nel sublime c'è l'apprensività, l'intuizione e la comprensione dell'intenzionalità della kurvatura dello spazio-tempo cosmico e kaosmico, cronologico irreversibile e kairologico reversibile nel mikro e nel macro infinito ed infinitesimo................................................. La meta è però l’elaborazione del problema dell’essere-sublyme. Lichtung-sublyme o Temporalità-sublime o «spazio libero del tempo» sublime in estasy, Lichtung und Anwesenheit, «Radura e Presenza» del sublyme nell'estasy sublyme: in Heidegger lo spazio non sarebbe bensì accadrebbe, l’ek-sistere si porrebbe come trascendenza sublime dello spazio in vista del mondo sublime è la continuità e differenza ontologica fra l’analitica esistenziale e l’ontologia del sublyme. Ma che cos’è il disvelarsi in estasy dell’essere-sublyme? Anzi che cos’è la gettanza dell’essere-sublyme nel sublime? È la gettatezza-della-verità della destinanza dell’essere nell’aletheia fondale, grund ed abgrund, del sublyme che si dà, si getta nella mondità. L’essere si eventua nel sublyme quale aletheia, disvelatezza dell’ontologia dell’essere, dell’esserci, dell’essere delle entità mondane, dell’interesserci, dell’interessere: tutte varietà compresenti nella gettatezza-del-sublyme quale aletheia ontologica dell’essere ontoikona, ontoimagine, ontoimago, ontopoiesis. Il sublime delle varietà topologiche della verità dell’essere si danno, si eventuano, si gettano quale fondale o fondamenta nel corso della sublymanza senza mai abbandonarla anche quando gli dei fuggono e il tramonto dell’occidente si secolarizza, per sempre il sublyme si getta intenzionalmente per essere contemplato dallo sguardo dell’esserci, dall’interesserci delle entità mondane clonanti: mai la verità tramonta, è sempre presente nel sublyme, nella sublymità al di là della storia, aldilà del bene e del male, aldilà delle entità klonate: è sempre in-essere-in-vista-della transcendenza sublime. Come mai solo il sublyme riesce a trascendere, o ad essere-in-vista-della-transcendenza dell'essere, o ad essere-in-vista-dell'essere dell'esserci quale dasein-analytik, o dell'essere-dell'ente nella sua purezza trascendente e quindi a trascendere sempre il corso della storia o della temporalità o dell’ontocronia? Tra le tante ipotesi quella più ontologica è la messa in cura della verità dell’essere quale contemplanza della curvatura dello spazio tempo del passato, memoria, del presente, relatività o interagenza, del futuro, eterno ritorno del sublime. Solo nel sublyme l’aletheia ontologica si cura da sé, si getta, si fonda e si cura senza gli dei fuggitivi, senza l’obsololescenza nihilista della tecnica klonante: giacchè l'intenzionalità del sublime si dà, si eventua quale transcendenza dell'essere-sempre-in-vista-dell'essere o dell'esserci o del non ente o del niente o del nulla o dell'abisso: ma si dà anche quale paradoxa giacchè l'intenzionalità del nulla è niente o meglio è il sublyme, quale transcendenza dell'intenzionalità del niente o dell'abisso o della singolarità abissale presente, passata e futura . L’essere nella gettatezza-della-sublymanza cura da sé l’essere-sublyme, senza la cura ontocronica o ermeneutica, anzi si cura senza l’epistemica ermeneutica, getta la sua cura della sua verità da sé quale interessere ontopico che abita poeticamente il vuoto cosmico o la radura ontologica quale gettanza dell'essere-in-vista-dell'essere-sublyme. È la sublymanza dell'essere-sempre-in-vista-dell'essere che ci viene-incontro in contrastanza, che si disvela per essere contemplata dall’interesserci, così si dà, si cura nella sua futura-anteriorità-gìà-stata e sempre ontologicamente presentemente assente o sempre in-vista-della-transcendenza. Nel suo essere già-stata si getta nell’ontokronia anche quale ob-getto, gegenstand, contr-ada, contra-stanza, contr-in-stanza, controistanza fondale che si getta allo sguardo sempre di fronte, quale gettanza della verità dell’interessere non contemplato dalla storia delle entità clonate, ma si dà quale evento dell'essere-in-vista-dell'essere. Il sublyme, la gettanza fondale della aletheia-interessere si dà e si cura da sé quale essere-sublyme o essere-gettatezza-del-sublyme e si eventua sempre quale ontologia dell’evento-verità, aldilà di tutte le interpretazioni infinite o delle clonazioni riproducibili, giacchè nel sublyme è in ekstasy o si getta, si dà, si cura l’evento della verità ontologica dell’interessere o dell’essere dell’aletheia o dell’essere-sublyme-della-verità-nella-physis. Anche quando gli dei fuggono dalla erhabene e la hrhabene non è più una entità mondana ontoteologica o quando si è abbandonati all’oblio dalla mondanità, anche allora la bellezza-sublyme si dà alla contemplanza, giacché la sua destinanza si getta e si cura da sé, si eventua nella physis-sublyme quale evento dell'essere-in-vista-dell'essere-sublyme nella verità ontologica. È la gestell della erhabene che si dà e si cura e si getta da sé: l’alterezza poietica nella radura della physis eventua l’evento della verità dell’essere-sublyme, ma discopre e dispiega nello stesso la destinanza sublime dell’aletheia dell’interessere: il sublyme è la gestell dell’essere-nella-physis, è l’alterezza della destinanza dell’evento della verità ontologica nella radura fondale, ove l’interessere possa abitare poeticamente, anzi l’essere in estasy lascia libertà d’essere al sublyme, ma nel contempo nell'essere-in-vista-dell'essere lascia libertà d’essere al mondo, lascia liberi gli dei di fuggire senza perdere la sua originalità, lascia libero il nihilismo della tecnica di clonarsi senza decostruirsi nella sua gestell, nella sua struttura ontologica, lascia libera alla mondanità il suo percorso e il suo tramonto, giacchè l’evento della sua libertà si getta e si cura quale libertà ontologica dell’essere-sublyme della verità-destinanza che si eventua nella physis-sublyme per lasciare libera la physis di esserci, anche quando gli dei fuggono e la tecnica si curi solo di klonare le entità mondane, giacchè è sempre l'essere-in-vista-dell'essere-sublyme. Anche quando il sublyme si sottrae per lasciare ampia libertà di dispiegamenti mondani delle entità epistemiche nella loro volontà di potenza imperativa, sia pure allora non fugge insieme agli dei ma abita dis-ascosto, assentemente presente l’essere-sublyme nella sua varietà d’essere-evento-della-verità, quale aletheia della destinanza della libertà, abita kriptato la varietà della curvatura immaginaria dello spazio-tempo o l'intenzionalità del nulla o dell'abisso. Il suo essere dis-ascosto si eventua nel sottrarsi, il porsi aldilà, è sempre l'essere-in-vista-dell'essere-sublyme quale gettanza o transcendenza sublime oltre il nihilismo della tecnica mondana, oltre il tramonto dei paradigmi epistemici ed ermeneutici per essere sublymanza ontologica dell’interessere-nella-physis-sublyme, quale intenzionalità del niente o del senza-fondo o della singolarità vuota attante nella sua vertigo. Il sublyme si eventua non solo nel fondale, nel grund quale ekstasy degli eventi della verità, ma nel contempo simultaneamente, anzi kairos-logicamente, nell’abgrund, quale essere-sempre-in-vista-dell'essere anche nell'assenza degli dei o là ove gli dei non hanno mai soggiornato e gli imperativi kategorici delle entità epistemiche non si sono mai avventurati, né il nihilismo della tecnica si è mai sospinto oltre, anzi l’abisso ontologico ha sempre diffuso il senso di timore del nulla o del niente, invece l’abisso è proprio l’assenza del non-ente, l’annichilirsi del nulla per lasciar liberi d’essere la mondità e l’esserci delle entità epistemicamente comprensibili. L’essere-sublyme dell’abisso, o l'intenzionalità del nulla o dell’ab-grund eventua l’ikona della radura ontologica quale ontopia dell’essere inenarrabile, inaudita, indicibile, indecidibile, mai completamente interpretabile, né epistemicamente fondabile nelle kategorie imperative della volontà di potenza della tecnica-klonica o della ermeneutica metafisica trascendentale pre-post-fenomenologica, giacchè lì è sempre l'essere-in-vista-dell'essere-sublyme quale transcendenza sublyme. Gli eventi o le intenzionalità della transcendenza o dell'essere-in-vista-dell’essere abisso ontologico della physis-sublyme disvelano la comprensione dell’essere sublyme, in attività dinamica sublime, in interagenza tra l’essere e la sua radura vuota ontopica quale memoria della curvatura infinitesima o quale presente dell'interagenza o quale futuro dell'infinito sublyme. Solo la erhabene, l'ekstasy dell’essere del sublyme consente all'essere-sempre-in-vista-dell'essere-sublyme di accogliere l’ascolto del sublyme che si getta nell’abisso della radura ontologica per gettare le fondamenta del fondale dell’essere-sublyme, quale ikona della physis-sublyme, del mondo, dell’interessere, dell’interesserci, dell’interagenza ontopica in transcendenza sublyme. Ma quella ikona non è mai epistemicamente presente, si disvela solo nel suo essere indisascosta o dis-ascosta: ontologicamente inaudita per i più ed indicibile quale intenzionalità del nulla abissale sempre in-vista-dell'essere: solo per il dasein presente evidentemente, solo l’interagenza del dasein-analytik consente all’evento dell’essere abissale di gettarsi nell’estasy dell’aletheia dell’essere-sublyme-sempre-in-vista-dell'essere. Solo il daseyn disvela il mistero o l’enigma del sublyme, giacchè è l'esserci che comprende l'essere-in-vista-dell'essere o in transcendenza sublyme: la sublymanza ama nascondersi o essere sempre indisascosta, ma nel medesimo istante, per paradosso epistemico o ermeneutico, l’essere-sublyme ama disvelarsi, ama discoprire la sua radura abissale, si dà sempre al di là quale essere-sempre-in-vista-della-physis-sublyme ontopica, la sua gestell ontokronokairoslogica o ontokairostopica. Solo così l’essere-sublyme si dispiega all’infinito nell’a-peiron, nel senza-limiti mondani, nel sub-lime, ma la sua gettanza fonda il fondale topologico, ontopico altrochè epocale ontocronico, si dà per raccogliersi-in-un-confine, si getta per eventuare la gestell, la struttura ontologica dell’interagenza con la physis: delimita la spazialità del sentiero ininterrotto della destinanza dell’essere configurazione ikonica della radura ontologica ove l’essere possa abitare poeticamente sempre in-vista-dell'essere-sublyme. Solo con l’essere-sublyme si eventua la disascosità dell’aletheia, mai adeguata onticamente o epistemicamente o ermeneuticamente, ma sempre sottratta all’evidenza della mondità, ma visibile alla contemplazione quale essere-in-vista-dell'essere, inaudita ma udibile, paradossale o eristica ma morfo-genica per la destinanza e l’interagenza dell’interessere e dell’interesserci. Lì in quel apparente paradosso o eristica epistemica o ermeneutica la verità stessa è dis-ascosta, anzi l’aletheia si disvela quale dis-verità o essere-sublyme della dis-aletheia dell’essere-sublyme, si discopre quale dis-invelamento della gestell-sublyme o struttura ontologica dis-invelata della dis-verità del sublyme essere-in-vista-dell'essere. La verità nel sublyme ci appare quale aletheia-della-dis-invelatezza-dell’essere, o meglio quale verità-dis-ascosta-della-dis-invelatezza dell’essere-sublyme, giacchè il sublyme ama la disinvelatezza, ma ama nel contempo la dis-ascosità della disvelatezza dell’aletheia dell’esseRe-in-vista-dell'essere-sublyme. Nella sua eristica epistemica ed ermeneutica del nascondersi e disvelarsi la disascosità della verità dell’essere-sublyme getta nella radura le fondamenta del sentiero della destinanza ontokronotopica, quale gestell dell’essere-sublyme o meglio nell’essere-sublyme è in estasy la verirà dis-ascosta della dis-in-velatezza o che nell’essere-sublyme vi è custodita e curata l’aletheia-dis-ascosta della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme-in-vista-dell'essere. Quando si legge o si ascolta una poesia, quando si contempla una immagine nelle sue relativa varietà dimensionali palesi o nacoste, quando l’inaudito aleggia dalla voce dell’esserci dal talento geniale è in estasy la verità dis-ascosa della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme ed è quell’aletheia che si disvela nella radura vuota e che traccia il sentiero ininterrotto della destinanza dell’interessere-in-vista-dell'essere-sublyme. L’interagenza e l’eristica di quella verità-dis-ascosità getta le fondamenta dell’epoca dell’imagine della mondità o della sua bellezza-sublyme o della sua classicità o della sua rinascenza o della sua surrealtà: la bellezza-sublyme è, sarà, fu la varietà della verità-dis-ascosità custodita e curata nell’estasy dell’essere-sublyme-in-vista-dell'essere. Quella interagenza consente al sublyme di essere-sublyme dall’esserci-sublyme-bellezza: o meglio solo quando la sublymanza è in estasy quale essere-verità-dis-ascosa della dis-in-velatezza, o che almeno quell’aletheia vi abiti poeticamente, solo allora la verità è sublyme e il sublyme è la verità dell’essere-sublyme-in-vista-dell'essere. Lì si dà il sublyme o il sublyme si dà quale estasy: l’origine o l’originalità del sublyme è il sublyme della verità dis-ascosa della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme, custodita e curata nella radura ove si disveli la destinanza dell’interessere-in-vista-dell'essere. Si può intuire che la verità ontologica sia anche in estasy nella mitopoiesis o forse nel mito quale aletheia dell’essere-sublyme, almeno in apparenza; ma una più approfondita ermeneutica ontologica ci svela come non sia così semplice: nel mito la verità non è in estasy quale aletheia-in-dis-ascosità-dis-in-velatezza, ma quale verità-adeguatezza ontoteologica che conforti il sacro senza creare ermeneuche eristiche, anzi quella stabilità epistemica può dispiegare metafisiche influenti. La topologia del sublyme abissale, della fondatezza del sublyme , dell’aldilà quale sublyme-essere-in-vista-dell'essere:la storia del mito del sublyme o della musa sublime Kalypso è la storia dei luoghi del sublyme, la storia mitika del sublyme è la storia dell’Essere-sublyme, o dell’eterno ritorno del mito o della risonanza infinita dell’essere nel sublyme, nella latenza, custodita, curata per eventuarsi nella epokè mitica del sublyme-essere-in-vista-dell'essere. La storia del sublyme è la storia della radura dell’Essere, dell’Essere diradato, sgombro, libero d’Essere nell’abisso sublyme-essere-in-vista-dell'essere, senza nulla, senza niente, senza-fine, senza tramonto, senza eclisse. Nessuno è ancora stato libero di ricercare la storia dell’ontologia del sublyme-essere-in-vista-dell'essere, aldilà dell’ermeneutica teologica in transcendenza sublyme, oltre la metafisica nichilista kategorica, epistemica,paradigmatica. Non c’è né l’ontologia dell’essere-sublyme, né l’ontosofia del sublyme o la storia mitika del sublyme o il disvelarsi della musa del sublyme Kalypso quale esserci-in-vista-dell'essere. La storia del sublyme si fonda sulla storia sublime della libertà sublyme in transcendenza sublyme o nell'essere-in-vista dell'essere-in-libertà: senza esser liberi di contemplare il sublyme-essere-inv-ista-dell'essere, non c’è sublyme ma solo teocrazia o mitokrazia o trascendenza quale esserci in-vista-dell'ente: la storia sublime del sublyme-essere-in-vista-dell'essere è la storia sublyme della libertà d’Essere in presenza della contemplazione dell’Essere-in-vista-dell'essere-sublyme. Il sublyme c’è quando l’essere si dà dinanzi nella contemplazione dell’Essere-in-vista-dell'essere-evento che si eventui in transcendenza sublyme che si dà, si getta alla presenza nella radura, nella topologia dell’Essere, quale ontologia dell’Essere-in-vista-dell'essere-sublyme-poetante, il Gegengrundsein o costrastanza che si eventua nella ontovarietà della gettatezza del mito del sublime o musa sublyme in Kalypso è la radura poetante che custodisce, kriptata, latente la cura dell’Essere-in-vista-dell'essere-sublyme in transcendenza sublyme . I luoghi della Gegengrundsein sono gli spazi-sublymi kaosmici ove si getta dinanzi, in contrastanza davanti l’Essere-sublyme-in-vista-dell'essere: i luoghi del sublyme sono quelli che l’esserci si trova di fronte non ad un orizzonte del mondo, o ad una prospettiva mondana, o ad un tramonto o eclisse cosmici, ma quelli sublimi del l’Essere abitato poeticamente dall’orizzonte e dalla prospettiva dell’Essere senza-fine, senza declino,senza tramonto, senza eclisse, quale eterno ritorno della risonanza dell’Essere-sublyme-in-vista-dell'essere. Solo così si eventua l’epochè della sublymanza, non teokratica o mitokratica, della sublymità della Physis-sublyme. Tanto per essere rigorosi fino in fondo:il sublyme non è la topologia della teocrazia o della mitokrazia, né il sublyme è la singolarità nichilista cosmica del tempo immaginario, giacchè quelle suggestive topologie sono sempre kategorie della prospettiva del mondo tramontante mentre l’orizzonte dell’Essere-sublyme non si trova mai di fronte all’eclisse, al tramonto, alla fine della storia, del tempo, dello spazio, del kosmo è sempre in transcendenza sublime o in-vista-dell'essere-sublyme. Nel sublyme-essere-in-vista-dell'essere invece c’è l’eterno ritorno della differenza ontologica tra il il fenomeno e l'evento: non il nulla o il niente, ma l’Essere-sublyme-in-vista-dell'essere che ci viene in-contro, l’Essere-in-vista-dell'essere-sublyme che si getta alla presenza, in contrastanza per abitare l’Essere-sublyme che contempla la radura sublyme-dell'essere-in-vista. La storia sublime della sublymanza è la storia della differenza che si eventua nell’ontologia poetante, quale presenza che abita il luogo kaosmico. La storia sublime del sublyme è la storia dell’Essere-in-vista-dell'essere che contempla l’essere di fronte, quale presenza della radura, ove non ha mai abitato né l’entità, né l’Esserci, né la mondità, né la metafisica, né la teocrazia o mitokrazia, ma solo la risonanza dell’Essere-sublyme-in-vista-dell'essere che ci viene in-contro, in contrastanza quale eterno ritorno del sublyme-essere-in-vista.
La storia mitika di Kalypso o del sublyme............ |
Paese: Italy ~
Invii: 10 ~
Membro da: 26 maggio 2008 ~
UltimaVisita: 11 novembre 2008
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Spedito - 19 luglio 2008 : 22:43:36
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..transontologia sublime.................................... ..................... si è in presenza dell'arkè o transpriorità o transingolarità di una tesi sul sublime . Si delinea una gestell o struttura o impianto dell'opera sul sentiero di una analitica dell'esserci o dasein-analytik assentemente presente in kant, per interpretare l'analitica della transbellezza e l'analitica del sublime. Si approderà infine ad una ontologia del sublime o sublyme quale bellezza-sublime plotiniana o sublime-bellezza heideggeriana già compresenti nella prima ermeneutica del sublime longiniana o burkeiana. Si offrirà preliminarmente una panoramica delle contemplanze del sublime nella classicità quale sublime della mathesis o pitagorico o platonico eventuato già da anassimandro sia nell'apeiron sia nell'archè, quale sublime dei quanta infiniti o del senza-fine e del senza-limiti: presente nell'analitica kantiana quale sublime matematico o gegenstand sublime, ovvero quale transentità sublime in transcendenza, presente solo nell'immaginazione della transpurezza sublime quale eccelsa e nobile magnanimità o magnitudine kolossale , sempre al dilà del sensibile e del percepibile quasi fosse l'alterezza proustiana. L'apeiron dei quanta però non è mai irreversibile: c'è sempre un senza fine infinitesimo o una abissalità senza fondale ove si autoeventui il sublime quale klinamen o ab-scissa dell'archè o dell'evento o della transingolarità o transereignis. A quella visione quantica si aggiunse nel corso del tempo una dinamica del sublime interpretata dal pensiero della dynamis aristotelica, quale coercizione kategorica del panta-rei eraklitiano: qui la transpurezza è transkatarsi e la sua transfenomenica suscita quel sentimento o quella tensione o quella intermittenza che tanta fortuna avrà nel pensiero di Burke e di Kant, tanto da eventuare il transfenomeno del sublime o il noumeno del sublime, ovvero il sublime fenomenico e il sublime noumenico. Ma nessuno si è ancora chiesto del perchè esista una musa della bellezza e non ci sia una transmusa del sublime. Forse il pensiero di Plotino ci viene in soccorso per delineare nel mito di Kalypso la disvelatezza del transmito del sublime, quale transbellezza in transestasy instabile, fluttuante, in contrastanza transdelirante assentemente presente o che si sveli solo nell'infinito o nel senza-fine o nell'abisso del senza-entità dell'etere o che aleggi sempre entousiasta , nell'eventuarsi sempre ab-scissa dell'essere-sublyme in transmitica alterezza quale bellezza-sublime o sublime-bellezza. Le interpretazioni della transestetica transestatica quell'eventuarsi dell'abissalità transgettano nel pensiero della mondità. Quel che seguirà è intriso di quella pregnanza e salienza.
a) transestetica estatica
Il sublime dilata il cuore in sistole e diastole e costringe l'attenzione nella stabilità e nella tensione. È stancante. La bellezza discioglie la transpurezza dell'anima : si percepisce qui una differenza transfenomenica o una incongruenza spaziale nella transestetica , presente nell'epigenesi longiniana del sublime, ma non ancora una differenza noumenica nella transbellezza o nel sublime. Qui il sentimento o l'intenzionalità sublime consiste in una vibrazione o alternazione rapida dei sentimenti o alterità o alterezza dell'esserci. Il dinamicamente sublime è simile alla transpotenza osservata in natura irresistibile e terribile, ma se si è al sicuro, si rimane disinteressati e perciò non c'è più un ob-getto o gegenstand che incuta la paura. Dio è terribile ma l'uomo non ha paura. Anzi solo il dio del sublime ci può salvare o solo il sublime salverà il mondo. Quella è la differenza: il sublime è il coraggio della transpurezza dell'anima e consente di scoprire un'abilità di stabilità e comprendere, ma solo perchè c'è l'alterezza dell'esserci. La natura è sublime perché eleva, innalza l'immaginazione all'esposizione eccelsa, là ove la mente può essere l'unica facoltà capace di comprendere la sublimità, anche al di sopra della stessa natura, quale sublimità appartenente alla libertà transestetica dell'alterezza. Tale libertà è al di fuori del naturale: interagenza intima tra il sublime o il dinamicamente sublime e l'ontologia della libertà. C'è il sublime quale libertà che trascenda la natura. Il sublime possibile o La sublimità, la sublime transpurezza, il dinamicamente sublime è sempre in relatività o in reciprocità transkategorica o in interagenza con la libertà. E' la problematica della differenza transkategorica tra il matematico e il dinamicamente sublime, o della differenza analitica tra la transbellezza e il sublime: entrambi presuppongono l'inclinazione o il klinamen di trans-essere e sensibilità, come quella del piacevole; il trans-essere è pensato nella transpurezza della transvivenza o l'analitica della transbellezza della natura interessante la forma del transente, che esiste che c'è, che si dà quale esserci o dasein-analytik ; il sublime invece si trova di fronte un gegenstand, sempre non-ente o transente infinito o transentità abissale senza-fine, senza fondo, un ni-ente, un nulla o un essere che ci viene in-contro quale transente informale, l'infinità, o completezza transkategorica della transmonade o dell'arkè o della transingolarità infinitesima nel suo subliminare ed infinitamente irreversibile nell'apeiron, nell'essere sempre senza fine e senza un fine o un transtelos: è in interagenza la piacevolezza del trans-essere con la qualità, o la quantità kolossale e magnanima e perciò alta e nobile quale eccellenza o quale alterezza. Nell'analitica della transbellezza c'è la seducenza quale attrazione transfenomenica, senza la presenza di un'immaginazione; la transestetica transestatica sublime invece è presente immediatamente quale compresenza di immaginazione pensante o come emozione dell'immaginazione dell' esserci o del non ente, niente, nulla o sacra superentità divina, incongruente e incompatibile con le attrazioni e con la seducenza, anzi prossima al timore e all'angoscia; la mente lì è costretta non soltanto alla presenza stabile dal transente, ma è spinta anche fuori , tanto da non afferrare o percepire la completezza transkategorica dell'arkè quale transingolarità e dell'apeiron e per-ciò impossibilitata nel contenere il trans-essere o un desiderio solo positivo, ed allora si evidenzia anche il transenso, contrastante, di ammirazione o tensione o attenzione, quale desideranza anche negativa, o non desideranza o dispiacere o timore o tremore o paura ed angoscia. La differenza più importante e più interna, sempre transfenomenica o transkategorica , è quella dell'analitica del sublime o della transbellezza dell'esserci o dasein-analytik : qui il sublime si pensa quale transensibilità che si esprime nella sensibilità estetica, la quale non desidera essere ricondotta alla corrispondenza con una transidea che non si possa sacrificare nell'apparenza: l'occhio richiede la bellezza come se ci fosse insistenza dello stesso ob-getto, la transpurezza desidera un'armonia completa fra il principio e l'inclinazione, perché tutta la tensione o l'attenzione si impegna, giacchè si sente ancora in incompletezza, quale virtù non perfetta. Trovare il sublime nella transbellezza è la transbellezza filosofica. Quale analisi di Aristotele della tragedia nella Poetica, specificamente la sua identificazione delle salienze o pregnanze della tragedia; come nell'esperienza di paura e compassione conducenti ad una catarsi delle emozioni. Aristotele appare poco chiaro circa quel che accada nella catarsi. C'è bellezza e c'è la bellezza-sublime o plotiniana: due transingolarità in continuità: la transbellezza è leggerezza in equilibrio stabile, è una qualità debolmente decorativa . Nell'alterezza c'è la più ob-scura bellezza-sublime che si dispiega in profondità e verità, o transbellezza sublime. La differenza tra le due estremità, o meglio la differenza tra due spazi topologici che si incontrano come in un nastro di Mobius, svela l'analitica della transbellezza dell'esserci: se un fiore, un tramonto, un poema, un dipinto, o un brano musicale: qualsiasi bellezza possa essere visto anche come bellezza sublime, se l'attenzione è diretta ed adeguata alla transfenomenica ermeneutica. Il differenziale nel continuo è costituito dalla consapevolezza dell'analitica transfenomenica del sublime nella bellezza o della transbellezza nel sublime.
La transfenomenica ermeneutica della transbellezza è ontologicamente connessa con la profondità e la verità, l'abisso e la svelatezza, e non è una transbellezza che si adegui nelle transcategorie della transbellezza quale sublime-bellezza. L'analitica del sublime eventua una complessità della transbellezza . L'analitica della transestetica del sublime emerge come una più complessa ermeneutica della transbellezza, quale transbellezza filosofica o trascendenza della transbellezza o sublime bellezza. Quella transinterpretanza dell'analisi della transbellezza connessa con alcuni dei commenti di Aristotele sulla tragedia possono delineare l'emergere di un nuovo transparadigma .
Nell'Analitica si distingue il sublime dalla bellezza transfenomenica: è bella la bellezza modello in un ob-getto, quale principio di organizzazione di pensiero nell'ob-getto, senza che l'ob-getto stesso abbia utilità. Qualcosa è bella, contrapposta ad utile, con caratteristiche che si possano identificare con l'utilità, ma l'ob-getto in sè è inutile, è disinteressante severamente, mentre dà il piacere. Un fiore è bello per la sua organicità, la sua simmetria i suoi colori come caratteristiche utili in un transente , ma la transentità è essenzialmente inutile , e così si pensa la transbellezza senza telos.
Il sublime, in contrasto, è un principio di turbamento. È il transfenomeno intuente o la comprensione che incontrino qualche transentità che non si possa organizzare o contenere. Non si possa determinare un principio di organicità che delimiti la transentità, giacché non si possano determinare limiti all'entità quale ob-getto sublime. Non si possano determinare limiti al transente che si sveli da sè, perché quell'entità, quale gegenstand, sfidi i poteri di presenza dell'immaginazione.e grandi virtù con le quali ha adornato la mente e il coraggio conquistatore è incompatibile con la bellezza, incompatibile come il più grande quasi infinito: apparirà il sublime quale grande terrore e stupore; eventi e varietà d'immaginazione possibili idee con più alterezza di quella bellezza fatale. Loro piansero, Nessuno si chieda fascini così celestiali, Per nove anni lunghi ha messo il mondo in armi; Che grazie vincenti! che aspetto maestoso! Lei trasporta una dea, e lei guarda una regina. Ecco una parola non disse del particolare della sua bellezza; nulla o alcuna idea precisa della sua persona; nessuno ha detto una sola parola in tutta l'immaginazione o immagina brillanti colori, o immagina la fragranza di una rosa immagina l' origine della sublymanza, nel senso della sublyme-bellezza: il costruire un determinato tempio di Zeus, oppure la svelatezza ab-scissa, ovvero il portare-in-posizione una determinata statua di Apollo, oppure il portare in scena una tragedia: non è soltanto l’alterezza di una sublymanza: disposizione in quanto alterezza è mitopoiesis . Consacrare o mitopoiesis significa “rendere sacro”, nel senso che nell’offerenza del sublyme il sacro viene svelato in quanto ciò che è sacro è il Dio e viene cercato extraendolo dentro la disvelatezza della sua presenza. Alla mitopoiesis: omaggio alla dignità e allo splendore del Dio. Dignità e splendore vengono svelati nella sublyme-bellezza, non accanto o dietro alle quali si sia il Dio, bensì esso si dà alla presenza nella dignità e nello splendore. Ogni disposizione nel senso dell’alterezza mitopoietica è anche sempre ab-scissione eventuata in quanto modalità di collocazione dell’edificio e della statua, in quanto dire e nominare all’interno di un linguaggio. All’inverso una collocazione e una sistemazione non sono già una disposizione nel senso dell’alterezza che pone-in-costruzione; infatti, si presuppone che il sublyme da erigere, da disporre, possieda già in sé il tratto essenziale della disposizione, sia cioè se stesso, in ciò che sia più la risonanza. Ma in che modo si coglie la risonanza autentica, che dispieghi l'ab-scindere e l'eventuarsi dell’essere-sublyme? |
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